Il mondo visto con gli occhi delle api

Un’invasione dall’Est

Racconti dall'alveare

Era solo l'inizio: da quel momento niente fu più come prima.

Seguivamo l’arrivo del Flagello come l’avanzata di una potenza nemica, un esercito invasore che marciava dall’Est.
Non c’era internet all’epoca e non era facile ottenere notizie sicure. Divenne lui, il signor Tuzi, il nostro informatore, lo speaker di Radio Varroa, grazie ai contatti che vantava anche in paesi lontani, mentre un velo di tristezza era sceso ad offuscarne l’allegria. In breve l’acaro prese possesso dei nostri incubi. Così ora sapevamo che esisteva, che era un parassita dell’Apis Cerana, la grande ape nera asiatica. Ma lì era endemico, e la Cerana aveva escogitato nel tempo, efficaci strategie di difesa che la nostra ape non possedeva. 

“È arrivata in Polonia!”
E qualche tempo dopo: “Ha invaso la Romania e l’Ungheria!”. Avanzava velocissima, inarrestabile.
Poi ancora: “Adesso ha varcato i confini della Grecia!”
E ancora, scuotendo affranto la testa: “Sta dilagando in Slovenia; non c’è più niente da fare, adesso toccherà a noi.”

Ricordo ancora quel giorno del giugno 1981, quando caddero le inutili difese erette dalla speranza. Finita la scuola, ero passato alla “Casa dell’Apicoltura” per un doveroso saluto e acquistare le ultime cose prima di trasferirmi qui a Val de’ Varri. Nessun sorriso sul volto triste del signor Tuzi, mentre scuoteva affranto la testa: “È appena stata segnalata a Gorizia …” , poi avvicinandosi a me, confessò sottovoce: “Sono stato perfido, e me ne pento, ma ho sperato colpisse prima gli Stati Uniti, così, forse, loro avrebbero trovato una cura.”

Era solo l’inizio, e da quel momento niente fu come prima.
Non riuscirò a raccontare l’apicoltura prima della Varroa, la travolgente, implacabile euforia, la frenetica attività delle Api, l’andirivieni festoso ed incessante sul predellino, le produzioni importanti di miele e punture, come anche quella quasi immediata dei nuovi favi. L’imponente ronzio, euforico, impertinente e mai fastidioso, anzi rassicurante quanto necessario, che spinse mio padre a scrivere “non si è mai soli in una casa di campagna se accanto ci sono le api”.
Una vitalità esuberante in piena sintonia con ognuna delle creature dell’Universo. Noi compresi.

Ricordo l’infinita, fantasmagorica varietà delle farfalle, dei bombi, degli insetti alati e di quelli inetti al volo. Studiavo e classificavo le farfalle placidamente disteso accanto al grande cespuglio di lavanda, consultando un piccolo manualetto con le foto a colori, quando si posavano sui fiori lì accanto, sulla maglia, sulla punta delle dita o sul naso, o addirittura, proprio sul taccuino con la loro effige. Ricordo ancora molti dei loro nomi latini, ma non riesco a ricordare di averle osservate di recente.

Mancavano le cicale e il loro frinire, perché le estati erano fresche e le temperature piacevoli. Sono arrivate soltanto di recente, una decina di anni fa, insieme ai 30°C. Ora sono di casa e nel 2018, per una settimana, ho segnato addirittura i 40°C. Ma questa è l’attualità.

Era solo l’inizio. Niente fu come prima.